Terramarina è la meta, come l’Itaca di Ulisse del mito antico, a cui ogni uomo tende. E, come per il mito antico, bisogna augurarsi che la strada (come ha scritto il poeta, greco anche lui, Kavafis) sia lunga, perché bisogna arrivarci carichi di vita e di esperienze (proprio come Ulisse), “ricco dei tesori accumulati per la strada”.
Terramarina è il secondo romanzo di quella che diventerà la trilogia della “cricca della Tabbacchera”, donna d’acciaio, bella e forte, determinata e caparbia, coraggiosa e indipendente. Sindaca Scassacoglioni (secondo l’epiteto che uomini dei palazzi che contano, dove il malaffare è di casa, le hanno cucito addosso e che lei indossa con orgogliosa consapevolezza) che vuole fare la rivoluzione , “cambiare il mondo a colpi di poesia”, con l’Amurusanza (che è anche il titolo del primo romanzo) termine che racchiude la parola amore, ma che va oltre ed a cui aggiunge una dimensione che è fatta di accoglienza, solidarietà, apertura:
Parole di fuoco, buttate giù per raccontare quella che si presenta come una fiaba di Natale, con una neonata (chiamata Luce, “bambina di luce giunta in quella casa a dissolvere il lutto e a portare la gioia”), partorita per strada sotto la neve, da una madre disperata per la quale non sembra esserci nemmeno una stalla con la mangiatoia.
“a far capire che porto siamo, signori miei,
porto che si fa madre,
che accoglie e non rigetta,
che apre e non si chiude,
che abbraccia e sfama a dispetto dei canazzi
che ringhiano di chiusure e di cesure e di leggi a sfratto,
intanto che la vita se la gioca
con la morte – e perde – in mezzo a un mare assassino”.
Nel costruire il suo racconto fiabesco, però, Tea Ranno non ignora la realtà del suo tempo (che è anche il nostra) e non distoglie lo sguardo da quel mare dove navi di disperati, fuggiti dalla violenza, dalla guerra, dalla fame, aspettano di scendere e toccare una terra che è sempre stata luogo di accoglienza, di popoli diversi, di genti venute per conquistare, ma anche per lasciarsi conquistare.
Simbolo di questa terra diventa la casa di Agata la Tabbacchera che agli amici aveva detto e ridetto “Sula lassatimi!”. Perché in quella notte di Natale lei aveva bisogno di solitudine, per fare quattro conti con se stessa. Il caso deciderà diversamente e la sua casa, buia e triste, nella cui solitudine avrebbe voluto annegare, si trasformerà in porto d’accoglienza, illuminata come un faro nella notte, sfavillante di Amurusanza.
Originaria di Melilli, a cui è legata indissolubilmente, nonostante da un quarto di secolo viva a Roma, Tea Ranno è oggi forse una delle voci più autorevoli della Sicilia. Una Sicilia che si fa mito, con le bellezze e le brutture che ne hanno deturpato il paesaggio e l’anima, col suo essere “luce e lutto” (come diceva Bufalino), che Tea Ranno riesce a mettere sulla pagina, con profondità e sentimento, con una scrittura che si fa poesia nella quale si è riservata un cantuccio, lei la “signora con il taccuino” che da Roma torna nella terra dei padri, alla ricerca delle radici, per ascoltare storie, anche di uomini e fatti lontani, ma che nelle sue pagine diventano emblema dell’ esistere al di là dello spazio e del tempo.