Nella ricorrenza della festa della mamma, durante la quale non mancheranno luoghi comuni e commenti sdolcinati, riflettere sul ruolo della maternità oggi, in un’epoca di profondi cambiamenti, in cui imperano egoismo e individualismo, è utile, se non necessario.
Il libro di Massimo Recalcati, figura oramai nota per gli interventi televisivi, può certamente offrire spunti interessanti per contestualizzare la maternità nel nostro tempo.
Viviamo in una società in cui tutto si consuma nell’immediato, nell’ora e subito, quando invece, come scrive Recalcati “la maternità è una grande figura dell’attesa”. A cominciare dalla gravidanza, un’attesa che lo psicoanalista definisce “speciale” perché “non assomiglia a nessun’altra attesa. Non è attesa di qualcosa: di un treno o di un anniversario, di un concerto o di un contratto. La maternità è un’esperienza radicale dell’attesa perché mostra come l’attesa non sia mai padrona di ciò che attende” (pag. 25). Già durante l’attesa, le madri siamo consapevoli dell’alterità che portiamo dentro, in quanto, secondo Recalcati “rende possibile un altro mondo”.
Sarebbe illusorio credere che l’attesa si esaurisca con il parto: quando il bambino verrà alla luce inizieranno tante altre attese che ne segneranno la crescita e lo sviluppo. Un ‘attesa continua, dunque, che, dal momento del concepimento, definisce la peculiarità della madre.
Allo stesso modo, distintivo e particolare è anche l’amore materno: sentimento non genericamente offerto al mondo perché non è amore fine a se stesso o amore universale, ma “rivela che, quando si ama, si ama sempre una vita particolare, il soggetto nella sua singolarità” (pag. 65).
Se è vero che l’amore materno è incondizionato e continua ad esistere anche quando si prende atto che il proprio figlio è imperfetto e lontano dall’ideale (anzi, dice Recalcati, il figlio viene amato proprio perché imperfetto), è anche vero che l’esperienza della maternità non “è sufficiente ad appagare la propria vita” (p. 133). Per dimostrarlo, Recalcati indica il mito di Medea, vista come l’incarnazione della ribellione della donna alle regole sociali.
Lo psicoanalista spiega questo aspetto della femminilità attraverso il “complesso di Medea” . Il mito greco ci dice che “nemmeno la maternità è sufficiente ad appagare la propria vita, a compensare la perdita dell’amore, che nessuna donna può mai essere assorbita e abolita nella madre”.
Se ciò, avvenisse (ma questo è il mio punto di vista) si tradirebbe il senso proprio della maternità che, di fatto, deve essere concepita come “un’ospitalità senza proprietà di cui la vita umana necessita”. (pag. 184)