Ci sono uomini che hanno dato il loro nome ad intere epoche, che pensiamo di conoscere a fondo per averli studiati, per avere riassunto le loro gesta, tradotto pagine che ricostruivano le vicende che li hanno resi protagonisti, letto saggi e romanzi loro dedicati, tanto che qualcuno potrebbe ritenere superfluo l’ennesimo libro che gli viene dedicato.
Certamente, non accade per “Augustus” di John Williams. L’autore americano ci conduce a Roma, durante il drammatico passaggio dalla Repubblica all’Impero, rivissuto attraverso i ricordi dei protagonisti, diretti o indiretti, di eventi che hanno segnato la storia del Mediterraneo.
Il lettore non troverà (e non potrebbe essere diversamente) in “Augustus” la rigorosa ricostruzione storica dei fatti accaduti o la biografia del primo imperatore romano in quanto, come l’autore precisa nella nota introduttiva, per esigenze narrative è stato cambiato l’ordine di alcuni avvenimenti, ma anche perché Williams ha: “inventato laddove i dati storici erano incompleti o incerti” ed ha “creato personaggi che la storia non cita”.
Attraverso una polifonia di voci narranti (appunti di diario, lettere, testimonianze di personaggi storici e non) Willians ricostruisce il lungo periodo che va dalle settimane precedenti le Idi di Marzo alla vecchiaia di Augusto. Il suo è il racconto della storia vista dall’interno, con gli occhi degli uomini, politici, ma anche intellettuali, poeti e filosofi; della storia raccontata attraverso lo sguardo delle donne.
Di alcune donne, in particolare. Donne di potere, capaci di incidere sugli eventi storici. Tra gli altri, Livia che Ottaviano sposa, dopo avere divorziato da Scribonia, già incinta di Tiberio, figlio del precedente marito, che caparbiamente destinerà alla successione. Più di tutti, però, nel firmamento femminile di “Augustus” brilla Livia, l’amata figlia di Ottaviano, strumento delle strategie politiche paterne. In esilio a Pandataria, si racconta in un diario scritto per se stessa, come semplice “strumento di riflessione”, da cui emerge una donna colta, consapevole del proprio potere tanto da dichiarare “che persino una donna poteva restare intrappolata dagli eventi del mondo, e venirne distrutta”. Perché Giulia, come tutte le donne del suo tempo, ma anche del recente passato, non può ambire al potere “con la forza fisica, o con quella della mente, o del desiderio; né, avendolo ottenuto, può compiacersene apertamente, con quell’orgoglio tutto virile che del potere è la ricompensa e il bastone. Deve invece indossare mille maschere, per dissimulare le sue conquiste e la sua gloria”.
La personalità di Augusto emerge dai raccontati di quanti hanno lavorato con lui, che hanno condiviso, o subito, le sue scelte, fino a quando l’imperatore prende la parola nella narrazione per rivelarci qualcosa che non ci saremmo aspettati:
“Io sono un uomo, debole e sciocco
come la maggior parte degli uomini;
se ho un vantaggio sui miei simili,
è quello di esserne consapevole,
e quindi di aver compreso le loro debolezze,
senza la presunzione di trovare in me più forza e più saggezza
di quanta ne abbia riscontrate negli altri”.