Sylvie e Andrée sono ancora due scolarette quando si incontrano tra i banchi di scuola e stringono amicizia. In particolare, Sylvie sarà come folgorata dalla piccola Andrée verso la quale proverà un profondo sentimento a cui non sa, né può, dare nome, un sentimento che va ben oltre l’amicizia.
Il rapporto si concluderà tragicamente: Andréè morirà giovanissima per quella che la scienza individuerà come una encefalite virale. Per Sylvie, invece, a causare la morte della sua amica del cuore sono state le costrizioni, imposte dalla famiglia, che le hanno impedito di essere una giovane donna, libera di essere se stessa, di costruire la propria esistenza, inseguire i propri sogni e realizzare il proprio sentire.
Nelle pagine di quello che possiamo definire un racconto breve autobiografico, Simone de Beauvoir ricostruisce il suo rapporto con Elisabeth Lacoin, chiamata Zaza (Andrée nel testo) conosciuta alla scuola cattolica Adeline Desir.
Zaza era una bambina apparentemente libera, sfrontata con l’insegnante, indipendente.
Solo apparentemente, però. In quanto, la famiglia, della borghesia cattolica militante, la limita e la condiziona con freddo e distaccato rigore , concretizzato nelle regole imposte dalla madre, figura che al lettore appare persino malevola.
“Avevo invidiato spesso l’indipendenza di Andrée;
a un tratto mi sembrò molto meno libera di me.
C’era tutto un passato dietro di lei;
e intorno a lei quella grande casa, quella famiglia numerosa:
una prigione dalle vie d’uscita accuratamente sorvegliate”.
Nel contesto familiare di Andrée/Zaza, Sylvie/Simone appare come una minaccia. Lei che durante la fanciullezza appariva poco libera, comincia a vivere in maniera indipendente scegliendo i propri studi senza limitazioni e manifestando la propria autonomia, mentre Zaza è incastrata tra i più disparati doveri sociali che le impediscono di vedere la sua amica, di gestire il proprio tempo ed organizzare la propria esistenza, di studiare il violino, di scegliere le proprie letture, di ritrovarsi sola.
Il racconto supera i limiti dell’esperienza autobiografia aprendosi ad una riflessione profonda sulla condizione di molte donne (ieri, ma forse anche oggi. Per alcune donne almeno e in alcuni ambienti certamente) costrette a soffocare ogni slancio vitale, a mortificare la propria individualità perché sommerse da tradizioni alienanti, da forme, più o meno scelte, che le mortificano.