Ci sono libri disturbanti.
Libri che ti conducono in mondi che sai esistere, ma che – essendo lontani, non solo geograficamente – non riescono a toccare a fondo il tuo animo. Fino a quando la letteratura, tra finzione e realtà, non ti spinge con forza all’interno dei bassifondi di una grande metropoli, in una enorme discarica, dove dei bambini (i cosiddetti “niños de la basura”) trascorrono le loro giornate alla ricerca di vetro, lattine e quanto si può riciclare, respirando i fumi degli incendi che vengono appiccati per distruggere, insieme con l’immondizia, carcasse di animali, soprattutto i cani sottratti agli uccelli rapaci.
La metropoli è Città del Messico e tra i bambini che trascorrono le loro giornate in discarica ci sono Juan Diego e la sorellina Lupe, figli di una prostituta che ha avuto una relazione con il boss della discarica il quale li ha accolti nella propria baracca. Rispetto agli altri bambini Juan Diego e Lupe godono di una posizione privilegiata, non solo perché protetti dal boss della discarica. I gesuiti dell’orfanotrofio di Oaxaca, dove la madre fa le pulizie, vorrebbero allontanarli dalla discarica, per sottrarli ad una vita miserevole e rischiosa.
Juan Diego e Lupe sono due ragazzini particolarmente dotati: lui ha letto decine di libri sottraendoli al fuoco della discarica, alcuni anche in inglese, imparando una lingua straniera in maniera autonoma. Sono libri difficili che affrontano argomenti filosofici e teologici che Juan Diego legge a voce alta a Lupe la quale, grazie a quei libri, ha una propria visione del mondo e della religione. In particolare, a Lupe non va completamente a genio la supremazia dalla Vergine Maria rispetto alla Madonna indigena che, a suo dire, sarebbe stata tradita dai cattolici a favore della prima. Una questione teologica che la ragazzina, poco più che una bambina, affronta con veemenza, manifestando il proprio rifiuto, senza mezzi termini, verso la Madonna e ciò che questa rappresenta.
Il ricordo di Lupe, degli anni trascorsi alla discarica, del rapporto con i gesuiti, sono di fatto il nostos (il ritorno a casa) che Juan Diego Guerrero, narratore di successo, intraprende attraverso la memoria durante un viaggio nelle Filippine, per onorare una promessa che aveva fatto ad un giovane americano amico delle prostitute. La narrazione, dunque, si svolge tra passato e presente, su due diversi piani temporali, perché “Invecchiando, e anzitutto quando ricordiamo e sogniamo, viviamo nel passato. Certe volte è lì che ci sentiamo vivi veramente”.
È come se gli anni trascorsi negli Stati Uniti, dove Juan Diego si è affermato come scrittore, lo avessero sottratto alla vita che riconoscere essere nella basura, quando al suo fianco c’era la piccola Lupe. La bambina, a causa di un difetto congenito, riusciva ad emettere solo suoni confusi che, tuttavia, il fratello comprendeva diventando l’interprete della sorella, legame tra lei e il mondo. Lupe, inoltre, sapeva leggere nella mente delle persone che incontrava e , ad un certo punto, riusciva anche a comprendere il futuro, a capire a cosa era destinato il fratello.
Irving ci ha regalato un romanzo ricco di personaggi straordinari che hanno il coraggio di fare scelte coraggiose, capaci di determinare il loro futuro e quello degli altri. Lupe, certamente, è uno di questi personaggi. Poi ci sono el señor Eduardo e Flor (un americano dell’Iowa che rinuncia alla vita religiosa per amore di una trans) che ad un certo punto diventano i genitori di Juan Diego, portandolo via da Città del Mexico per vivere un’altra vita.
Una possibilità, senza dubbio resa possibile dalla generosità dell’insolita coppia, ma soprattutto dallo stesso Juan Diego, sulla base del principio assoluto homo faber fortunae suae.
Il niño de la basura aveva, infatti, cominciato a prendere in mano il proprio destino quando, cosa insolita nella discarica, aveva imparato a leggere, evento fondamentale per la sua esistenza perché, come gli dirà il senor Eduardo: «Nei libri è racchiusa una possibilità di vita, come del resto nella tua immaginazione. E non esiste soltanto il mondo fisico, neanche in questo posto».