Ripropongo la mia lettura di “Due vite” a cui è stato appena assegnato il “Premio Strega”.
Inizia come una fiaba, prosegue come un racconto in cui biografia e autobiografia si intrecciano tessendo la narrazione di un’amicizia a tratti difficile, ma mai venuta meno. Anche quando la vita, per un periodo ha separato, anche quando la morte sembra avere tolto ogni possibilità di incontro. Perché nell’assenza il dialogo con l’amico, quello vero con cui si sono stati condivisi i giorni della spensieratezza o del dolore, non viene interrotto, nemmeno nella distanza.
Due vite di Emanuele Trevi è tutto questo e, certamente, tanto altro che il lettore avrà modo di scoprire attraverso la ricostruzione dell’esperienza umana e culturale di Rocco Carbone e Pia Pera, certamente autori di “nicchia”, ma il cui contributo nella storia della letteratura italiana non può certamente essere trascurato.
Dalle pagine di Trevi emergono due ritratti complementari di Carbone e Pera.
L’uno (per dare valore alla vecchia locuzione latina, secondo cui nomen omen) spigoloso e duro, tormentato da una profonda infelicità, provato da un male di vivere senza nome che ne ha condizionato la vita fino alla morte prematura..
L’altra una signorina per bene, ma tenace e determinata, profonda conoscitrice della letteratura slava, abile traduttrice, capace di rinunciare alla carriera per ritirarsi in un podere di famiglia e dare vita ad un giardino, figlio di un sogno inseguito anche negli anni della terribile malattia che l’ha portata via prematuramente, ma che lei ha affrontato con dignità encomiabile.
Così Trevi: “Quando per lei è arrivato il momento, ha rivelato enormi riserve di saggezza e forza d’animo, combattendo bene la sua battaglia […] Era semmai una persona intensa, dotata di un’anima prensile e sensibile, incline all’illusione, facile a risentirsi”.
Due persone complesse Carbone e Pera con i quali l’autore ha condiviso sia momenti spensierati che scelte difficili. Non è dunque peregrina l’idea che Trevi (certamente inconsciamente) narrando di Carbone e Pera abbia voluto raccontare di sé, dell’amore amicale nei confronti di due compagni di strada che la morte ha allontanato, lasciando dei sospesi che, in particolare per quanto riguarda il rapporto con Rocco Carbone, avrebbero potuto essere causa di rimorsi.
Fu Cesare Garboli nel suo saggio su Antonio Delfini ad affermare che “in ogni amicizia c’è un rimorso”, come ricorda Emanuele Trevi che confessa così il sentimento nei confronti di Carbone da cui per un lungo periodo si era allontanato con una determinazione che influenzò i rapporti successivi. Sebbene i motivi che avevano portato alla separazione sembrassero superati.
Dunque, Due vite può essere letto come un omaggio alla memoria di due amici, ma anche alla propria vita, nella consapevolezza che ciò che è stato deve essere rielaborato per proseguire nella navigazione, per tutto il tempo che ci sarà concesso.
Voglio concludere queste riflessioni con quanto scrive Trevi, poche frasi, che rivelano il senso di tutto il libro:
“I nostri amici sono anche questo,
rappresentazioni delle epoche della vita
che attraversiamo come navigando in un arcipelago
dove arriviamo a doppiare promontori
che ci sembravano lontanissimi,
rimanendo sempre più soli,
non riuscendo a intuire nulla dello scoglio
dove toccherà a noi,
una buona volta, andare a sbattere”.