Quando i soldi non danno la felicità

Arriva  sempre nella vita di ciascuno il momento in cui bisogna abbandonare la gentilezza e tirare fuori la fermezza, mostrarsi duri e determinati, nonostante la propria indole. Si tratta, in molti casi, di un passaggio obbligato lungo la strada che dalla fanciullezza conduce alla maturità; un percorso non semplice, costellato da insidie che bisogna imparare a riconoscere ed evitare.

Così è per Gilles Mauvoisin, il “viaggiatore del giorno dei morti”, sbarcato a Rochelle, cittadina costiera del Nord del Francia, sull’Oceano Atlantico. Giunto  come clandestino da un cargo proveniente dalla Norvegia, Gilles  non sa che la sua vita cambierà radicalmente: del tutto fuori contesto, avvolto in un lungo cappotto nero, in testa un cappello di pelliccia, vagherà per le strade della città alla ricerca delle proprie radici: prematuramente orfano di entrambi  i genitori, ha raggiunto la Francia nel tentativo di rintracciare i parenti conosciuti soltanto dai racconti ascoltati nella fanciullezza. Ben presto, scoprirà di essere l’erede di una enorme eredità: una fortuna insperata, lasciatogli dallo zio Octave Mauvoisin, fratello del padre, ma appesantita da segreti che rischiano di imprigionarlo e schiacciarlo.

L’eredità di Octave Mauvoisin lo stava distruggendo.

Aveva paura di andare a fondo,

e non faceva nulla per evitarlo,

come fosse ineluttabile.

Parte dell’eredità ricevuta è la chiave di una cassaforte che potrà essere aperta soltanto individuando la combinazione,  una parola da scoprire per riuscire a fare luce sugli oscuri rapporti che legavano lo zio al sindacato. Una ricerca tutt’altro che semplice, causa di inquietudine per il protagonista, ma anche per il lettore di Simenon, narratore lontano dalle tortuosità acrobatiche di certa letteratura, ma capace di condurci tra le stradine fosche di Rochelle, legandoci empaticamente al protagonista.

Fino  alla conclusione: felice? Da elogiare o biasimare? Dipende dai punti di vista.

Inquieta fratellanza

Serge, colui che dà il titolo al romanzo, è il maggiore di tre fratelli – di origine ebraica e  oramai adulti – ciascuno dei quali porta con sé  il peso di una vita già vissuta, con il carico di errori e delusioni, di promesse mancate, di sogni non realizzati. La storia di Serge, apparentemente il più spregiudicato, intraprendente fin da ragazzo, capace di inventare attività lavorative puntualmente destinate al fallimento, è narrata da Jean, il secondogenito, che non ha mai brillato per iniziativa personale, è  cresciuto all’ombra del fratello e fin da ragazzo sembrava destinato all’anonimato.

“Io a mio padre non interessavo.

Ero il classico ragazzo senza grilli per la testa,

che a scuola si impegnava,

faceva ogni cosa come suo fratello

e non aveva la minima personalità”

Jean è un uomo generoso, disponibile nei confronti della famiglia, di amici e  parenti ormai vecchi e malati, pronto a donarsi – fino a  fare da padre al figlio della propria ex, un bambino problematico, che fatica a socializzare (autistico?) – ma incapace di cambiare la propria vita. Eppure è  consapevole di ciò che non funziona;  sa cosa dovrebbe fare per essere felice, ma non ne ha il coraggio. O, probabilmente, non vuole cambiare.

Infine, c’è Nana, la bimba vezzeggiata e amata da mamma e papà, la preferita, ma indipendente nelle scelte, soprattutto in quelle sentimentali, tanto da deludere tutti. Nana è una donnina petulante, ma appagata e, apparentemente, felice delle proprie scelte.

Nel romanzo il tema centrale, ma non certo l’unico e comunque non il più importante, può essere individuato nel rapporto tra i  fratelli. O, meglio ancora, in quel che rimane della famiglia d’origine (luogo di conflitti e incomprensioni, anche devastanti) quando i genitori scompaiono e i fratelli sono  diventati altro rispetto a quelli che condividevano gli spazi della fanciullezza, con tutto ciò che questo comporta. Ed è proprio sull’«altro» che esplodono i conflitti, anche insanabili, che mettono a dura prova i legami di fratellanza, perché, come dice Jean:

“I legami fraterni si sfilacciano,si disperdono,

finiscono per non ridursi ad altro

che a un sottile nastrino di sentimenti o conformismo”.

Per Serge, Jean e Nana le tensioni rischiano di implodere durante un viaggio ad Auschwitz-Birkenau intrapreso su richiesta di Joséphine, figlia di Serge, che sente il bisogno di vedere il luogo in cui i propri parenti sono stati tragicamente uccisi, insieme con altri milioni di ebrei. I tre fratelli si ritrovano così a fare i conti con la Storia in un contesto in cui emergono le contraddizioni della memoria, vissuta da taluni con fanatismo quando non con la superficialità del turista improvvisato.

Sono certamente queste le pagine più belle del romanzo nelle quali Yasmina Reza – parigina di origine ebraica, padre iraniano, madre ungherese – riesce a dare il meglio di sé, facendo emergere (senza retorici sentimentalismi) il dramma di milioni di bambini, donne e uomini.

Ed è sempre durante il viaggio che emerge la sofferenza ed il dolore di Serge che  – nell’indifferenza nei confronti di ciò che vede e nell’impazienza per l’entusiasmo della figlia e della sorella – mostra il tormento che accompagna la sua solitudine, abilmente mascherato nelle riunioni di famiglia.

La continua fiumana della vita

La  Marie Dudon, che con il suo scialle dà il titolo alla raccolta di racconti, è una donna provata dalla fatica  cui la costringe il bisogno, dopo il licenziamento del marito. Mentre lava i panni in due tinozze, poste su altrettante sedie davanti alla finestra, assiste a qualcosa di insolito che potrebbe trasformare la sua vita e quella della sua famiglia. Nel mettere in atto il piano, però, deve scontrarsi con la grettezza del marito, ignaro del suo progetto, il quale le impedisce di uscire sotto la pioggia con il cappotto e la scarpe nuove per non rovinarle. Così, Marie Dudon si ritrova avvolta nel miserrimo scialle madido di pioggia e le scarpe sformate e piene d’acqua, in una casa signorile, completamente fuori contesto. Consapevole della propria condizione di inferiorità, perde la forza e la capacità di contrattare e chiedere ciò che le necessita accontentandosi di briciole, ma riproponendosi di tornare in carica in tempi più favorevoli. Non ha però fatto i conti con la spregiudicata immoralità e attitudine criminale dell’antagonista.

Marie Dudon è soltanto uno dei personaggi che affollano i dieci racconti di questa preziosissima antologia in cui Simenon si rivela, anche nella narrazione breve, un profondo conoscitore e analista dell’animo umano, qui rappresentato e modellato con compiutezza, attraverso un numero vario e composito di uomini, donne e bambini trasportati dalla fiumana, inarrestabile, della vita.

Al fianco di Marie Dudon incontriamo la giovane Charlotte, entraîneuse della  Boule Rouge,  mentre  in compagnia di un cliente attraversa la Parigi notturna, tormentata dalla consapevolezza che al suo fianco cammina un famoso criminale. O ancora, il piccolo Corbion che assiste al disfacimento della propria famiglia e della sicurezza economica costruita sulla menzogna cui la frustrazione del bisogno può condurre. Aggiungiamo all’elenco la piccola Valérie: una domenica mattina scopre l’egoismo della   madre e delle sorelle che la costringono al sacrificio e mortificano i suoi sogni giovanili, ma deve prendere atto  che

“l’odore delle lacrime esiste solo per chi le versa”.

Altrettanto toccante è la vicenda della “vecchia coppia di Cherbourg”, ospiti dell’Hôtel des Deux-Continents, in attesa di un figlio in arrivo dall’America dove ha fatto fortuna. La loro (contadini che parlano una lingua incomprensibile che non riescono a pagare il conto, pur avendo in mano un assegno da milionari) presenza infastidisce i proprietari dell’albergo, fino a quando non ha la meglio l’avidità egoista, sempre in agguato nell’animo umano. Di certi uomini, almeno.

D’amore e dintorni

Pearlie ha conosciuto Holland ancora ragazza, ha trascorso con lui molto tempo, leggendo poesie, proteggendolo quando si nascondeva in casa per non essere arruolato.

I due giovani si ritrovano per caso dopo la guerra e si sposano, in un momento particolarmente difficile anche per gli Stati Uniti, reduci da una guerra non loro, chiamati a fare i conti con il razzismo, la minaccia comunista, nuove guerre.



In questo contesto,  Pearlie decide di prendersi cura di Holland che sa essere malato, di un male senza nome, al cuore probabilmente. Intorno a lui costruisce un mondo ovattato per rimuovere  ciò che potrebbe turbarlo e quindi causarne la morte. Trascorre la giornata ritagliando dal quotidiano le notizie violente  che potrebbero far soffrire Holland fino a mettere “a tacere qualsiasi parte di me che non fosse dolce e gentile”. Per Pearlie ciò è amore,  perché

“crediamo tutti di conoscere la persona che amiamo,

e anche se non dovremmo stupirci

quando scopriamo che non è vero,

ci si spezza il cuore lo stesso”.

Ed è proprio di questo che parla il romanzo, dell’amore di una donna verso un uomo, un uomo bellissimo, capace di catturare sguardi di ammirazione. Pearlie, che non è altrettanto bella, ritiene quasi un privilegio essere stata scelta da Holland che, quindi, merita tutte le cure e le attenzioni che lei (che si ritiene “un personaggio minore”) può offrirgli.

Però  “La bellezza è una lente deformante”, in quanto  non ci permette di vedere bene a fondo, come  Pearlie scoprirà  quando un pomeriggio alla porta della sua casa   busserà Buzz che, con regali e sorrisi, sconvolgerà la sua tranquilla vita di moglie e di madre, rivelandole un Holland a lei sconosciuto.

“L’oggetto del nostro amore esiste soltanto per frammenti,

una decina se la storia è appena cominciata, un migliaio se lo abbiamo sposato,

e con questi frammenti il nostro cuore fabbrica una persona intera.

Ciò che creiamo […] è l’uomo che vorremmo.

E meno lo conosciamo, più lo amiamo, ovviamente.

 Ecco perché ricordiamo sempre con tanta felicità la prima sera insieme,

quando lui era un estraneo…”.

Fedele al proprio sogno (o illusione) d’amore Pearlie accetta la proposta di Buzz a cui cede, non senza sofferenza, Holland. Un gesto d’amore, certamente, nato dalla presunzione di sapere cosa sia meglio per Holland, dal desiderio di garantire un futuro felice al figlio colpito dalla poliomelite. L’amore di Perlie verso Holland, però, non tiene conto dei desideri e dei sentimenti di Holland il quale sorprenderà il lettore (e non solo) con un gesto che Perlie – e noi con lei – non aveva considerato. Perché crediamo di conoscere chi ci sta accanto e, forti del nostro amore, presumiamo di sapere cosa l’oggetto del nostro amore desideri realmente, cosa sia meglio per lui (o per lei).

Siamo, però, sicuri che sia realmente così? Andrew Sean Greer, pacatamente, quasi sottovoce, ci suggerisce che forse le cose stanno in maniera diversa e che l’amore non è sempre come lo immaginiamo.