Quando inizia l’inverno? Se la risposta può essere scontata, qualora si considerasse la stagione metereologica, diventa più complessa se si pensa, metaforicamente, all’esistenza umana. Perché ciascuno potrebbe individuare un’età diversa in considerazione delle esperienze vissute, delle aspettative e dei progetti.
Per Auster l’inverno ha avuto inizio dopo i sessant’anni, alla vigilia di un compleanno che lo spinge a rivedere tutta la propria esistenza di uomo che è stato figlio, marito, padre, autore di successo (dopo anni di difficoltà), viaggiatore in Europa e nel mondo, abitatore di tante, numerose case dalle quali si è sentito accolto o rifiutato.
Insomma, è stato, in parte o in tutto, quello che ciascuno è nel corso della propria esistenza, con la certezza che, come leggiamo fin dalle prime pagine, “la vita è tutta contingenza, salvo l’unico fatto necessario che prima o poi finirà”.
Giunge per tutti il momento in cui bisogna guardare indietro e capire come si è giunti al punto in cui ci si ritrova, perché quello che si è oggi è sempre il risultato di tanti piccoli episodi che magari, mentre viviamo, non ci sembrano significativi, ma che, comunque, segnano la nostra esistenza, in maniera più o meno visibile.
Per Auster il segno tangibile della vita trascorsa sono le cicatrici “specialmente quelle sul viso che vedi ogni mattina quando ti guardi allo specchio, nel bagno per pettinarti o per farti la barba”. L’inventario quotidiano (è l’autore a definirlo così) delle cicatrici lo riportano alle ferite che le hanno lasciate. Tuttavia, Auster è consapevole che ben altre cicatrici, meno visibili, hanno segnato la sua esistenza. Forse le più significative sono quelle degli errori commessi per non avere compreso subito la strada da intraprendere, per essere stato “sempre smarrito, sempre a prendere la direzione sbagliata, sempre a girare in tondo”.
Fino a quando, però, imparando dagli errori fatti (forse soprattutto anche per gli errori commessi) la strada giusta appare, anche se inattesa. Come inattesa è la possibilità che a percorrerla non sarai più solo, sebbene te lo fossi ripromesso. A Auster accade quando incontra quella che da oltre trent’anni è la sua seconda moglie il cui amore è diventato una presenza costante, dopo un primo matrimonio deludente ed una serie di esperienze con “ragazze mezze matte, entrambe affascinanti e autodistruttive, ragazze a cui aveva donato il suo cuore, ma che “non potevano o non volevano riamarti”. Quando ha incontrato, per caso, la sua seconda moglie, Auster riconobbe in lei “non finzione … non qualche proiezione delle tue fantasie interiori, ma una persona reale” capace di imporsi con “la sua realtà su di te dall’istante in cui vi metteste a parlare”.
Diario d’inverno appare quindi come il percorso di un uomo che, a volte annaspando tra le incertezze e gli errori, come accade a ciascuno di noi, riesce a costruire un’esistenza che, anche tra ricadute e inciampi, posa, comunque, su una base solida. Per questo motivo, all’imbrunire non si può che esprimere un solo auspicio che Auster ruba all’aforista ottocentesco Joseph Joubert: Si deve morire amabili (se si può).
È proprio su “se si può” che Auster sembra puntare per la propria vita futura, ritenendo che “non c’è successo umano più grande che essere amabili fino alla fine, che sia una fine amara o no”.