Una donna sulle bianche scogliere, sta tornando in Inghilterra dall’Italia per sfuggire ad un amore sbagliato, in attesa di imbarcarsi decide di scrivere una lettera alla sorella. Non usa della normale carta da lettera, ma un elegante quaderno, acquistato a Venezia, con la copertina rigida di seta azzurra marmorizzata. Niente di sorprendente, considerato che la lettera non potrà mai essere spedita, visto che la sorella è scomparsa venticinque anni prima.
Si apre così il romanzo di Coe che chiude la trilogia (i due precedenti sono “La famiglia Winshaw” e “Il circolo dei Brocchi” ) che, secondo alcuni commentatori, costituisce il Romanzo ideale dell’autore inglese campione della leggerezza della narrazione.
Una leggerezza, permettetemi l’ossimoro, profonda, capace di scavare dentro l’animo umano evidenziandone i limiti e le potenzialità, facendo luce sulle incompiute che ciascuno, non solo i personaggi di Coe ,si porta dietro perché manchevole del coraggio e della volontà di prendere in mano la propria vita e smettere di crogiolarsi in sogni adolescenziali, per vivere il presente ed essere artefici del proprio futuro.
Benjamin, promessa mancata della letteratura inglese, è il personaggio che meglio racconta questa dimensione esistenziale che lo rende un imbranato perdente, ma che, il lettore potrà scoprirlo da sé, potrebbe anche riscattarsi.
La vicenda prende le mosse alla vigilia del nuovo Millennio e si snoda durante il governo Blaire, nell’imminenza della Guerra contro l’Iraq che vide l’Inghilterra in prima fila e mise in crisi le coscienze di molti, spingendo qualcuno a scelte radicali, tanto da rivoluzionare la propria vita a conferma, se mai ve ne fosse bisogno, che pubblico e privato si intrecciano, sebbene in qualche caso, come apprenderemo verso la fine della narrazione, la consapevolezza si acquista dopo tanto tempo.
Colpisce il lettore la tragica attualità del racconto di Coe che, a tratti, sembra diventare lo specchio del nostro quotidiano con le teorie complottiste di cui, ahinoi, quotidianamente leggiamo; con i rigurgiti neo-nazisti delle cronache odierne; con l’insofferenza, spesso sfociata nella violenza, nei confronti degli stranieri, dei diversi…
Eppure, c’è ancora spazio per la speranza che nel romanzo è incarnata da due giovani personaggi: Patrick e Sophie, visti mentre passano “sotto il grande arco della porta di Brandeburgo, mano nella mano; senza desiderare altro dalla vita, per il momento, che la possibilità di ripetere gli errori che avevano commesso i loro genitori, in un mondo che stava ancora cercando di decidere se concedere loro almeno questo lusso”.