Serge, colui che dà il titolo al romanzo, è il maggiore di tre fratelli – di origine ebraica e oramai adulti – ciascuno dei quali porta con sé il peso di una vita già vissuta, con il carico di errori e delusioni, di promesse mancate, di sogni non realizzati. La storia di Serge, apparentemente il più spregiudicato, intraprendente fin da ragazzo, capace di inventare attività lavorative puntualmente destinate al fallimento, è narrata da Jean, il secondogenito, che non ha mai brillato per iniziativa personale, è cresciuto all’ombra del fratello e fin da ragazzo sembrava destinato all’anonimato.
“Io a mio padre non interessavo.
Ero il classico ragazzo senza grilli per la testa,
che a scuola si impegnava,
faceva ogni cosa come suo fratello
e non aveva la minima personalità”
Jean è un uomo generoso, disponibile nei confronti della famiglia, di amici e parenti ormai vecchi e malati, pronto a donarsi – fino a fare da padre al figlio della propria ex, un bambino problematico, che fatica a socializzare (autistico?) – ma incapace di cambiare la propria vita. Eppure è consapevole di ciò che non funziona; sa cosa dovrebbe fare per essere felice, ma non ne ha il coraggio. O, probabilmente, non vuole cambiare.
Infine, c’è Nana, la bimba vezzeggiata e amata da mamma e papà, la preferita, ma indipendente nelle scelte, soprattutto in quelle sentimentali, tanto da deludere tutti. Nana è una donnina petulante, ma appagata e, apparentemente, felice delle proprie scelte.
Nel romanzo il tema centrale, ma non certo l’unico e comunque non il più importante, può essere individuato nel rapporto tra i fratelli. O, meglio ancora, in quel che rimane della famiglia d’origine (luogo di conflitti e incomprensioni, anche devastanti) quando i genitori scompaiono e i fratelli sono diventati altro rispetto a quelli che condividevano gli spazi della fanciullezza, con tutto ciò che questo comporta. Ed è proprio sull’«altro» che esplodono i conflitti, anche insanabili, che mettono a dura prova i legami di fratellanza, perché, come dice Jean:
“I legami fraterni si sfilacciano,si disperdono,
finiscono per non ridursi ad altro
che a un sottile nastrino di sentimenti o conformismo”.
Per Serge, Jean e Nana le tensioni rischiano di implodere durante un viaggio ad Auschwitz-Birkenau intrapreso su richiesta di Joséphine, figlia di Serge, che sente il bisogno di vedere il luogo in cui i propri parenti sono stati tragicamente uccisi, insieme con altri milioni di ebrei. I tre fratelli si ritrovano così a fare i conti con la Storia in un contesto in cui emergono le contraddizioni della memoria, vissuta da taluni con fanatismo quando non con la superficialità del turista improvvisato.
Sono certamente queste le pagine più belle del romanzo nelle quali Yasmina Reza – parigina di origine ebraica, padre iraniano, madre ungherese – riesce a dare il meglio di sé, facendo emergere (senza retorici sentimentalismi) il dramma di milioni di bambini, donne e uomini.
Ed è sempre durante il viaggio che emerge la sofferenza ed il dolore di Serge che – nell’indifferenza nei confronti di ciò che vede e nell’impazienza per l’entusiasmo della figlia e della sorella – mostra il tormento che accompagna la sua solitudine, abilmente mascherato nelle riunioni di famiglia.