“La lezione non è, dunque, un accasciarsi degli allievi a contatto col maestro per farsi riempire, forse intasare, dalle sue conoscenze. Ma, in senso inverso, neanche il maestro si deve accasciare sui propri studenti, sacrificando la dignità della propria professione alla sirena del facile gradimento. Come è umiliante per gli studenti l’essere trattati alla stregua di contenitori da riempire, così risulta altrettanto umiliante per l’insegnate l’essere un pavido favoreggiatore dei suoi studenti e accettare di essere trattato come tale”.
(pag. 31 e ss)
La scuola è argomento di dibattito quotidiano amplificato dai social network attraverso polemiche sterili e strumentali. Tutti nel nostro Paese si sentono autorizzati a parlare di scuola come se, per il solo fatto di averla frequentata, più o meno felicemente, abbiano raggiunto le competenze necessarie ad esprimere valutazioni su un sistema complesso ed articolato. Spesso questi sedicenti esperti di didattica e di sistemi scolastici non fanno altro che amplificare luoghi comuni e slogan di chi vuole distruggere un’organizzazione ancora oggi spesso indicata come modello. Basterebbe, per togliere spazio e fiato a questi amplificatori del nulla, vedere i risultati internazionali dei nostri giovani, dei tanti “cervelli in fuga”, costretti ad affermarsi all’estero perché l’Italia non consente loro di realizzarsi coerentemente con il titolo di studio acquisito.
È chiaro dunque che il problema non è la preparazione dei giovani italiani ai quali, dobbiamo dedurre, la scuola fornisce conoscenze, competenze, abilità, strumenti per aver successo. Con buona pace di chi sostiene che la scuola italiana debba essere bocciata, senza appello.
Tra il tanto parlare di scuola, può tuttavia accadere che si levi qualche voce autorevole, capace di proporre riflessioni costruttive, come accade con il saggio di Gustao Zagrebelsky “La lezione”. Certo, considerato lo spessore culturale del Prof. Zagrebelsky può apparire scontato il giudizio positivo in merito alle sue considerazioni, anche quando, sulla base della nostra esperienza quotidiana, non le abbiamo trovate del tutto condivisibili. Ciò nonostante , “La lezione” propone un’analisi vera degli errori che si sono diffusi negli ultimi decenni, che hanno svilito e tolto valore all’insegnamento, spesso svuotato di contenuto, a danno di docenti e discenti.
A questo scivolamento verso il basso ha contribuito la scelta, più o meno consapevole, di certi “insegnanti i quali, aspirano a essere in sintonia con i loro studenti, si adeguano alle loro mode”. Sono, secondo Zagrebelsky quei docenti che hanno rinunciato “a essere punti di riferimento, a essere, anche quando occorre, scogli da affrontare e superare nel processo di crescita culturale”. Insomma, alla scuola è accaduto quanto si è verifica in alcune famiglie in cui i genitori non vogliono (o non sanno) essere educatori, limitandosi ad assecondare i figli, a difendere i loro errori attribuendone la responsabilità ad altri.
Certamente, non è più tempo dell’autoritarismo del passato, tuttavia bisogna essere consapevoli che per educare bisogna assumersi responsabilità e scelte, anche impopolari: l’obiettivo di un Insegnante (utilizzo la maiuscola per scelta consapevole) non è essere popolare con i propri studenti, ma diventare per loro un punto di riferimento. La “democrazia a scuola” non è una conquista positiva come evidenzia Zagrebelsky ricordando gli anni della contestazione, quando i professori erano costretti a cedere il loro ruolo agli studenti che pretendevano di insegnare al loro posto. Situazione che qualcuno pretenderebbe di ripetere oggi.
Non possiamo, a questo punto, non chiederci quale debba essere oggi il ruolo dell’insegnante, in un tempo difficile, in cui molti ritengono che la cultura sia quella che si trova in rete e che basti digitare un motore di ricerca per avere le conoscenze necessarie per la propria formazione, ritenendo che apprendere sia un processo facile ed indolore. Non lo è, invece. Ed è proprio questa la sfida che i docenti oggi dobbiamo affrontare perché, come scrive Zagrebelsky:
“Il primo compito del professore è per l’appunto questo:
smuovere, mettere in marcia con la promessa incerta di qualcosa
che ancora non si vede,
si potrà vedere in seguito, o, forse, mai”.
Insomma, la strada che dobbiamo percorrere è diametralmente opposta a quella indicata dalle sirene incantatrici del tutto subito e senza fatica.